I
MISTERI DI KANODIAN
Parte Seconda |
di
Luisa "Lys" Monnet
(lmonnet@edl.it) Il deserto aveva mille facce, mille suoni, mille nascondigli. Qui aveva conosciuto la sua prima forza, il primo anelito alla passione, le ferite e la paura, sua eterna sposa. Seduto con le spalle al muro di sabbia, Shion fissava intento i volti mutevoli delle dune scavate dal vento, costante, onnipresente. Le sue lunghe dita accarezzavano indifferenti un agila’l, un piccolo e spennacchiato uccello notturno, attirato dalla luce e dal calore del fuoco solitario. Uno dei tanti turni di guardia, una notte dopo l’altra, un mese dopo l’altro, un intero anno. In attesa. “Accadrà presto, mio apprendista. I tempi si approssimano. Rimani vigile perché sta per arrivare per te il tempo della prova.” Questo gli aveva detto poche ore prima Darth Nantris, il suo maestro. E Shion aspettava. Soffocando l’impazienza, nutrendo la propria rabbia. Abbassò lo sguardo sull’uccello che si puliva le piume tra le sue mani con un lieve senso di sorpresa: aveva dimenticato che era lì. La cupa oscurità che avvolgeva il suo essere si animò all’improvviso, le sue dita si mossero da sole e tirarono il collo all’agila’l. Con rapidità, facilmente; soddisfatto l’uomo stirò il corpo ossuto, ricoperto dalla nera tunica e si alzò, esponendo il viso al soffio del vento notturno. Non aveva l’aspetto di un ragazzo: aveva vissuto già più di trent’anni al limitare della piana di Kaidagan e il vento gli aveva pian piano asciugato la giovinezza dal viso e la lucentezza dallo sguardo. Chiuse gli occhi, inebriandosi del gemito che proveniva dagli esseri viventi che piangevano la fine del loro compagno alato. ‘Non c’è rispetto, c’è il potere’, l’antico grido ancestrale risuonava forte e vitale dentro di lui, mentre tutto il suo corpo e il suo spirito vibravano delle potenti dissonanze del lato Oscuro. Aveva pregato, aveva sacrificato agli dei per avere un nome e una nuova vita. Per sconfiggere l’ignoranza e la confusione. Ora apparteneva alla Forza: gli occhi blu si fissarono sulle lontane montagne di Kanodian. La prova era lì, ogni giorno più vicina. Gli volse le spalle e con un rapido gesto gettò il corpo dell’agila’l nel fuoco. Il lungo gemito si quietò. 1) “In altri tempi le foreste non erano intricate così come le vedi ora. Gli esseri che abitano questo bosco vivevano e respiravano alla luce del sole: lo facevano apertamente, senza paura, o aggressività. Kanodian non si nascondeva agli occhi dei visitatori e questi giunsero in buon numero: dapprima forme di vita elementari, portate da quegli sporadici esploratori che, per primi, erano atterrati in mezzo alle radure, allora molto più numerose di oggi. Il pianeta divenne via via sempre più noto nelle rotte segnate sulle mappe di navigazione, tuttavia aveva qualcosa... una sua natura selvatica che non incoraggiava troppo il commercio o qualunque forma di urbanizzazione. Chiunque aveva pensato di costruirvi città e stazioni di rifornimento per navi, dovette ricredersi ben presto. I visitatori troppo invadenti erano tollerati a malapena. Alla fine Kanodian trovò il suo equilibrio naturale sotto le silenziose famiglie Jedi venute quietamente a ritirarsi quaggiù, e per molto tempo il pianeta mantenne la sua facciata tranquilla e fiduciosa.” Obi-Wan meditava attento su quelle parole mentre lo sprinter divorava miglia su miglia volando sopra liane enormi, all’ombra di incombenti formazioni arboree. Ovunque lo stesso scenario dominato da alberi e arbusti altissimi, che rare volte permettevano di scorgere il colore pallido del cielo. ‘Una facciata tranquilla, non c’è che dire’ commentò ironico tra sé e sé. “Chi ha costruito questo sentiero?” domandò poi, studiando la lieve traccia e le guide magnetiche ai lati. “Qualcuno dei primi Jedi venuti qui, credo.” rispose evasiva Ary. “È così antico?” “Non è passato tanto tempo dai primi insediamenti, non credere. La cosiddetta ‘civiltà’ qui non ha avuto facile e non è mai stata la benvenuta.” Parole pronunciate con una leggere punta di compiacimento, notò Obi-Wan, che scrutò con attenzione il viso della giovane, intento alla strada davanti a loro. Sorrise silenziosamente. “Sembri quasi contenta di questo.” osservò. La risposta giunse tranquilla, ma ancora con quel tono elusivo. “Conosco bene il mio pianeta, tutto qui.” Gli occhi della giovane seguivano l’intricato arabesco dei rami e degli arbusti sopra e sotto lo sprinter senza perderne di vista nemmeno una fronda. “Non è mai da sottovalutare la forma di vita, sia essa animale o meno, che incontriamo sul nostro cammino.” Quasi a sottolineare quelle parole, lo sprinter fece un brusco scarto, per evitare un ramo gigantesco, pieno di foglie ad aculeo, che si era improvvisamente sollevato sul loro sentiero. Un po’ troppo improvvisamente, pensò Obi Wan. “È questo che intendevi?” chiese, gettando uno sguardo nervoso ai loro lati. “Pressappoco.” Il silenzio si richiuse sui due giovani mentre quell’universo verde pareva non avere mai fine. Davanti agli occhi chiusi di Obi-Wan, scivolato in una meditazione vigile, scorrevano immagini vecchie di appena qualche ora. Il saluto muto e attonito di Anakin (‘Non ti abbandono, Padawan, non pensarlo mai, ma avevi ragione, ora sento anch’io distintamente qualcosa e non ti voglio laggiù, qualunque cosa incontreremo’); l’occhiata quasi disperata del vecchio Tran quando Ary gli aveva comunicato la sua decisione mentre Liann aveva lanciato uno sguardo lontano, quasi assente verso la piana di Kaidagan (‘cosa nascondete tutti? Dove vuoi portarmi Ary e perché qui dietro c’è un arsenale che farebbe invidia a un’armata di droidi?’). Obi-Wan aprì gli occhi di colpo. “Dimmi la verità - chiese a bruciapelo - tu ci sei già venuta da queste parti, vero?” “Cosa te lo fa credere? Nessuno sano di mente scende fino a qui dalle foreste.” Ma non era stata abbastanza rapida da nascondere il suo trasalimento. “Non hai risposto.” “Lo farò dopo, ora non mi sembra il momento più appropriato.” Il tono era cambiato ancora e riportando gli occhi sul sentiero, Obi-Wan non poté che darle ragione. I rami, gli ostacoli diventavano di momento in momento più numerosi e più pericolosi. Continuamente piante distorcevano la loro visuale del sentiero, piccole bestie volanti passavano sopra di loro a volo radente; una volta lo sprinter dovette gettarsi in mezzo alla macchia per evitare un curioso animale, di grandezza non indifferente, con un robusto corno in mezzo alla schiena e pieno di squame, che si era fermato in mezzo al sentiero. Ary però non si lasciò sviare e ritrovò in fretta il centro della via. “Lo stanno facendo apposta, secondo te?” gli chiese allegramente lei, ma non era una domanda. Intanto la foresta veniva meno pian piano e il terreno cominciava a presentare qua e là rocce e larghi tratti sabbiosi. Il vento, non più fermato dal complesso di alberi, si faceva sempre più forte e così la luce del sole. La corsa dello sprinter si era considerevolmente ridotta, ma prima che giungessero all’estremo limitare della foresta e dell’ultimo tratto di valle, Ary spense i motori e il mezzo accostò dolcemente a un masso di roccia scura. “Perché ti sei fermata?” domandò il suo accompagnatore, allarmato. Con movimenti rapidi e precisi Ary gli passò uno dei fulminatori che aveva caricato sullo sprinter, si caricò in fretta alcune provviste sulle spalle, poi sollevò il portello e saltò a terra, coprendosi le spalle dietro al masso. “Vieni,” gli gridò, per farsi sentire oltre il rumore incessante del vento, “Non è prudente proseguire con lo sprinter, dobbiamo andare a piedi. Sbrigati!” Il volto era teso, i sensi all’erta. Mentre il giovane cavaliere le obbediva in fretta, la sua mente si agitava frenetica insieme alla natura impazzita. ‘Lei sa. Conosce questi luoghi come... sì, come se ci avesse sempre vissuto.’ Ma la sua concentrazione fu improvvisamente deviata e lui si voltò di scatto, la spada alzata. Il vento portava con sé sabbia e pulviscolo, impedendo una vista corretta dei dintorni, nonostante questo lui avvertì che qualcuno, qualcosa era in osservazione sugli alberi vicini. E non era amichevole. Poi distinse un lampo, un’ombra metallica che puntava verso di loro e in quel momento il raggio partì. La spada volò letteralmente nella mano del Cavaliere Jedi che deviò fulmineamente il colpo. Il giovane spiccò la corsa e raggiunse la sfera di metallo nero che si stava allontanando, dividendola netta in due parti: complicati meccanismi interni vennero portati alla luce. “Una sonda.” disse ad Ary, che si era avvicinata.” Sì, ma di un tipo che non conosco.” Il tono tuttavia non era particolarmente sorpreso. “Tu te ne eri già accorta che eravamo osservati, vero?” “Sì, ma non potevo esserne sicura.” Si guardò intorno, “Non sono mai sicura delle mie percezioni in questo posto.” Era una riposta onesta e Obi Wan annuì. “Da quanto tempo ci stava dietro secondo te?” “Difficile da dirsi, ma per me sanno da un pezzo che stavamo arrivando.” “Chi lo sa?” Ary indicò con un gesto la pista davanti a loro. “Loro... quelli della piana, chiunque essi siano.” Diede un’ultima occhiata alla sonda, senza guardare il giovane. Entrambi sapevano che il raggio laser era stato diretto soprattutto contro Ary. Percorsero quasi correndo un paio di chilometri, poi Obi Wan si fermò bruscamente. La valle era terminata e davanti a lui si offriva uno spettacolo straordinario e sconvolgente. Il deserto di Kaidagan era una lunghissima, sconfinata distesa di sabbia rossa a perdita d’occhio, sabbia che veniva continuamente agitata da un vento freddo e fortissimo fino ad assumere delle forme fantastiche e gigantesche, in perpetuo movimento. Talora in mezzo a quei colossali muraglioni che si alzavano e si abbassavano a seconda dell’intensità, si scorgevano degli ammassi di roccia che dopo poco venivano ricoperti nuovamente. Il sole splendeva senza ostacoli, ma non riusciva a riscaldare l’aria tagliente del deserto e soprattutto non forava l’incredibile foschia data dalle ingenti quantità di sabbia che l’aria trasportava. Queste a loro volta, aiutate dai formidabili venti siderali e magnetici estremamente potenti in quella regione, creavano degli incredibili giochi di luce, ammantando di volta in volta l’orizzonte di luci purpuree, azzurrine e madreperlacee. Obi Wan tentava di ripararsi gli occhi e intanto rifletteva rapidamente. Forse Ary aveva ragione: quel posto sarebbe stato un eccellente nascondiglio. Tra l’altro i campi di energia erano forti laggiù ed il giovane Jedi aveva difficoltà a concentrarsi sulla Forza. Fu riscosso dalla voce di Ary. “Tieni, questi ti aiuteranno a vedere meglio.” Gli porse un paio di visori e gli indicò qualcosa nella cresta di sabbia più vicina. “Rocce, le vedi? Dovrebbe esserci anche qualche caverna naturale. Per lo meno avremo un riparo.” Obi Wan assentì, mise i visori, si coprì la faccia con il mantello e lasciò che Ary passasse in testa. L’avanzata era lenta e faticosa, a causa delle enormi quantità di sabbia e di detriti che il vento sospingeva avanti, né più né meno di una continua tormenta. I due procedevano con il capo chino, mettendo con precauzione un passo dopo l’altro. C’era troppa sicurezza in quella donna, pensò il giovane. Obi Wan si sentiva limitato nel proprio contatto con la Forza a causa delle barriere naturali di Kaidagan, ma Ary, che era l’unica insieme ad Anakin (il pensiero non gli piacque affatto) a percepire il lato Oscuro di questa zona, pareva non soffrire alcun disagio e avanzava lentamente, ma senza fermarsi. Il malessere cresceva nella mente di Obi Wan, fece per chiamare la sua compagna per chiederle quanto mancasse ancora, ma la vide accucciarsi improvvisamente al suolo. D’impulso la imitò. “Non senti nulla?” gli chiese lei. Obi Wan tese leggermente il collo, ma il rumore del vento copriva qualunque altro suono. Lei lo fissò, lievemente esasperata. “Nella Forza, intendo. Percepisci nulla? C’è qualcosa di strano...” Obi Wan stava per rispondere negativamente, quando un colpo di fulminatore gli sfiorò il braccio, gettandolo a terra con la violenza dell’impatto. Brancolò, tentando di estrarre la spada laser dalle pieghe del mantello, ma il braccio rispondeva male ed era lento. Altri due colpi vennero sparati in mezzo alla foschia. Con una rapidità fulminea, Obi Wan vide Ary accendere una spada laser che non aveva mai visto prima: il fascio di luce che ne scaturì aveva una tonalità azzurrina, più debole e incerta di quella tipica dei Cavalieri Jedi del lato Luminoso, ma era perfettamente funzionante e i colpi vennero respinti prontamente. Chiunque fosse nascosto nella sabbia, non voleva che raggiungessero un riparo, ragionò il giovane; probabilmente li aveva seguiti e aveva lanciato quella sonda. Si rimise rapidamente in piedi ed accese la spada, proteggendo le spalle di Ary. La cortina di sabbia era pressoché impenetrabile, non potevano vedere niente, ma ormai non ne avevano bisogno. Le vibrazioni del lato Oscuro echeggiavano potenti intorno a loro, bersagliandoli da ogni parte. Passato il primo momento di sconcerto, Obi Wan aveva subito riacquistato il controllo, sgombrando la mente da ogni emozione e concentrandosi sulla Forza vivente. C’era un Cavaliere Sith potente del lato Oscuro davanti a loro, questo era sicuro... no, erano due. Obi Wan corrugò la fronte, perplesso: le vibrazioni del secondo Sith erano confuse, la loro natura irregolare e stranamente familiare. Gettò un’occhiata ad Ary e la vide fremere. “Non lasciarti vincere dalla confusione che avverti!” le ordinò in fretta, “Lo hai percepito, vero?” “Sì.” mormorò lei, con uno sforzo. “Sono due, ma il secondo...” “Già, le sue vibrazioni sono strane, non riesco a inquadrarle.” “Io sì.” fece lei, cupa. Mancò il tempo di aggiungere altro. Una serie massiccia di colpi ripetuti si abbatté su di loro. I due Sith, sicuri della propria invisibilità, tentavano di approfittare del momento favorevole. Obi Wan si mosse con ritmo e potenza, concentrandosi su ogni singolo colpo e cercando di rimandarlo all’aggressore. Un paio di volte stese la mano davanti a sé, tentando di controllare le vibrazioni della Forza e di usarle a proprio vantaggio, ma erano troppo sfuggenti e non riusciva a dominarle. Al suo fianco Ary si batteva con uguale rapidità e agilità, anche se il Cavaliere Jedi percepiva l’eccesso di tensione e di ansia che le impediva di focalizzare con successo l’energia dei due assalitori. Non c’era più alcuna possibilità d’errore: qualcuno aveva iniziato Ary alle discipline Jedi, la sua tecnica, anche se grezza e incompleta e l’impugnatura della spada che portava e che ogni Jedi costruiva con l’aiuto del proprio maestro, gli ricondussero alla mente l’unico uomo che avesse mai osato sfidare il Consiglio degli Jedi. ‘Maestro Qui-Gon! Non è possibile...’ pensò Obi Wan. “Questa situazione è senza uscita!” le gridò, tra un colpo e l’altro. “Corri!” Continuando a tenere testa ai raggi dei fulminatori che piovevano da ogni direzione, la coppia si gettò a rotta di collo in mezzo alle scariche, nel folto della duna di sabbia. “Da questa parte!” gridò Ary, mentre Obi Wan sussultava per un nuovo colpo di fulminatore che gli aveva quasi raggiunto il braccio, già malandato. La vide scivolare dentro la sabbia e la seguì. La discesa fu breve e si ritrovò dentro una grotta di roccia scura, dove la luce del sole e il vento giungevano attutiti. “Il materiale di queste rocce è isolante. Neppure i campi di energia penetrano qui.” disse Ary dietro di lui. A riprova di quanto detto, i due udirono un breve sibilo sopra le loro teste, simile a quello di un mezzo leggero da corsa. Attesero, anelanti, per qualche secondo, poi il silenzio tornò totale. 2) Le ricerche, continuate per più di un’ora, non dettero alcun esito e Shion guardò con preoccupazione la figura corrucciata del suo maestro mentre tornavano in silenzio alla base. Superarono il muro, lasciando fuori sabbia e vento e si calarono all’interno del pozzo che costituiva il loro nascondiglio. In ere passate qualcuno aveva sperato che nel sottosuolo della piana di Kaidagan scorresse l’acqua e aveva costruito una complicata attrezzatura di estrazione più un paio di edifici bassi e stretti, ricavati dalla roccia. L’attrezzatura era rimasta abbandonata, non così le costruzioni. Con un gesto che non ammetteva replica, Lord Nantris ordinò al suo allievo di aspettare fuori e sbatté la porta dietro di sé. Ma ormai non era un mistero per Shion il fatto che andava a mettersi in contatto con il suo superiore per comunicare che la donna e lo Jedi erano arrivati nella piana, con successo. Shion si lasciò scivolare per terra e riprese fiato dopo la lunga mattina. L’aria intorno a lui era calma, la luce di Micra lo colpiva sul volto con il suo delicato chiarore azzurrino, ma la mente e il cuore del Sith erano ancora in subbuglio. Non aveva potuto vederla lì in mezzo alla tormenta di sabbia, ma l’aveva percepita almeno quanto era sicuro che lei avesse percepito lui: questo il suo Maestro non gliel’aveva detto. Avrebbe voluto entrare da quella porta e chiedergli il perché, ma sapeva che non sarebbe stato saggio; una volta che Lord Nantris l’aveva sorpreso troppo vicino alla stanza di trasmissione, aveva colpito la sua mente con violenza molte volte fino a lasciarlo tramortito per più di un’ora. Se poi fosse morto, beh, allora avrebbe voluto dire che non aveva la stoffa necessaria a diventare un Sith a tutti gli effetti; quella era una verità che Shion si era scolpita nell’animo e non aveva intenzione di ripetere lo stesso errore. Però c’erano altri modi. Negli ultimi mesi di addestramento la sua capacità di concentrazione sull’energia vivente si era acuita e perfezionata: di quando in quando il suo Maestro lo faceva entrare nella mente di qualche forma di vita inferiore per il gusto di vederla impazzire. Nello sviluppare questa capacità Shion aveva anche imparato a sintonizzarsi sulle onde cerebrali di tutte le cose viventi che lo circondavano, a dissolversi nella loro identità e nella loro consapevolezza e servendosi di loro aveva ottenuto spie silenziose ed efficacissime. Perfino Lord Nantris ignorava questo lato del suo discepolo. Come parecchie altre cose del resto. Shion chiuse gli occhi e lasciò che la luce del sole con tutti i minuscoli microrganismi che trascinava con sé lo portasse fin dentro la finestra dell’abitazione. Non aveva sensazioni chiare e non poteva tentare di focalizzarle meglio, a rischio di essere scoperto; tuttavia percepì chiaramente il suono della voce del suo Maestro, una tonalità acuta e discorde che forava la sua coscienza con la sua irritazione e la potenza del sentimento malvagio che recava in sé. L’allievo del Sith desiderava spesso diventare malvagio e forte come il suo signore, ma c’era sempre qualcosa a rendere incostante la sua volontà. ‘Colpa di questo maledetto pianeta!’ si disse in silenzio Shion, mentre con cautela tentava di scoprire cosa stava dicendo l’apparecchio di trasmissione. Riuscì a distinguere chiaramente le parole ‘fallimento’ e ‘nuova destinazione’, ma la corrente del lato Oscuro, mossa dalle menti potenti dei due all’apparecchio, non gli consentì di concentrarsi ulteriormente. Pian piano si ritirò dall’energia vivente che gli era intorno fino a ritrovare la propria identità e a sentire le proprie spalle contratte contro il muro dell’edificio. Non immaginava che le cose si sarebbero evolute così in fretta, ma l’arrivo dei due dalle foreste doveva aver innescato un meccanismo già predisposto da tempo. Si domandò se Lord Nantris avesse previsto anche questo. Non ebbe bisogno di chiederselo più a lungo. La porta si spalancò bruscamente e rimase aperta: un chiaro invito ad entrare. Lord Nantris attendeva, con le spalle voltate, il mantello scuro che celava completamente i suoi lineamenti: da quando Shion aveva iniziato il suo addestramento, non l’aveva mai visto in viso e sapeva che sarebbe stato sempre così, almeno finché fosse rimasto vivo. Ma la frustrazione e l’ira erano evidenti in tutta la sua figura. “Ci sono stati degli sviluppi... inattesi.” esordì senza preamboli. “E’ spiacevole non aver ucciso subito quei due; questo mi obbliga a fare altri piani.” “Siamo stati scoperti?” domandò l’allievo, con una punta di panico. Lord Nantris fece udire un risolino pieno di scherno. “Non temere, mio giovane apprendista. Questo luogo è più inviolabile dello stesso Tempio degli Jedi; non hanno possibilità di sapere che siamo qui, non finché non lo decideremo noi. Ed è quello che faremo, prima di lasciare il pianeta.” Gli occhi di Shion si illuminarono di gioia. “Dunque ce ne andiamo? E’ arrivato il momento?” Lord Nantris rimase in silenzio a lungo, troppo a lungo. Shion cominciò a temere di aver parlato avventatamente. Ma poi la testa avvolta nel mantello si piegò in un piccolo gesto di assenso “Mi è stato comunicato che prima i due Jedi vanno eliminati.” disse brevemente. Shion represse a stento un moto di sorpresa, non tanto per la notizia, che in cuor suo già conosceva, quanto per l’affermazione. “Maestro... dunque è un Jedi pure la donna?” chiese, con il fiato sospeso (‘Come poteva... lei come poteva avere imparato? Chi le aveva insegnato?’). Lord Nantris si voltò e considerò per un attimo la perplessità e lo stupore che trasparivano dal volto del suo discepolo. Sicuramente stava mentendo, non poteva non essersene accorto. Distolse lo sguardo e parlò lentamente, la voce secca come carta vetrata. “Non comportarti stupidamente, Shion. Tu conosci meglio di chiunque altro la situazione.” Alzò leggermente il volto e per un attimo l’allievo scorse lo sguardo di fuoco dei suoi occhi vermigli. “Non è così?” incalzò. Shion non poté fare a meno di abbassare la testa, non fosse che per tentare di nascondere il mare di emozioni che lo stavano sopraffacendo. Si costrinse a parlare con tono naturale. “Io... sì, ho percepito distintamente le sue vibrazioni. Quella donna... è come me, voglio dire...” “Il lato Oscuro è potente anche in lei, questo volevi dire.” L’altro annuì in silenzio, grato di quella spiegazione di comodo. “Già, sarebbe stata un’eccellente alleata. Ma la vostra razza non è adatta a seguire le vie della Forza: siete abili e capaci come servitori ed è per questo che ho ritenuto opportuno addestrarti, Shion. Non dimenticarlo mai e non farmi pentire di quanto ho fatto per te.” L’allievo stirò le labbra in una smorfia amara. No, non l’avrebbe dimenticato: sarebbe morto senza l’arrivo provvidenziale del Sith. Lo aveva salvato dai pericoli della foresta e dalle insidie di Kaidagan, dopo che era stato cacciato dal suo gruppo; non si poteva vivere isolati su Kanodian, era convinto di avercela fatta solo lui. Nemmeno Lord Nantris poteva intuire la verità che lui aveva scoperto solo da pochi istanti. Questo purtroppo non faceva alcuna differenza: senza l’addestramento e la protezione del suo maestro non gli sarebbe rimasta altra risorsa se non tornare nella foresta e morire. I suoi occhi arsero di una fiamma oscura mentre sollevava il viso. “La ucciderò, Maestro. Li ucciderò entrambi, se questi sono i tuoi ordini.” Il Sith ebbe un rapido sorriso soddisfatto. “Molto bene. Sì, sono questi i miei ordini, tuttavia non c’è fretta. Verranno loro qui: sarà la donna a guidare il Cavaliere Jedi fino a noi. Riconoscerà le tue vibrazioni, se già non l’ha fatto, saprà a quale razza appartieni e verrà a cercarti. A quel punto dovrai confrontarti con lei, mentre io mi occuperò dello Jedi. Non è addestrata e sarà una prova facile per te.” Agitò brevemente la mano nell’aria. “Questo luogo è perfetto per loro: non potranno servirsi dei loro poteri qui.” Considerò ancora un istante il proprio piano, con soddisfazione, poi congedò con un gesto Shion che si inchinò e uscì, chiudendo la porta con cura dietro di sé. ‘Lord Nantris ha previsto tutto, non ho motivo di preoccuparmi. Sarebbe stato meglio per lei se fosse morta laggiù.’ 3) Gli occhi scuri di Ary fissavano distratti la debole fiamma che spandeva luce e calore all’interno della grotta. Fuori scendeva la sera e in sottofondo si udiva costante il debole sibilo del vento. La donna aveva fasciato il braccio contuso del giovane Jedi e ora sedeva di fronte a lui, lo sguardo assorto nelle fiamme palpitanti. La sua voce si levava alta e sottile, mentre Obi Wan ascoltava attento, il cuore e la mente agitate da un tumulto di emozioni che non giungevano al viso impassibile. “Sapeva perfettamente di andare contro il codice: un Maestro Jedi può addestrare un solo Padawan per volta per non portare squilibrio nella Forza. Ma lui vide in me delle doti, gli dei solo sanno quali...” Un breve sorriso ironico le attraversò il volto stanco. “Ogni giorno dei suoi periodi di riposo, quando veniva qui, dai suoi. Scivolavamo fuori di casa di notte, ci inoltravamo nella foresta, sfidando gli ostacoli e le creature della notte. Ne trovi a migliaia su Kanodian, solo di notte... ci allenavamo con la spada e con altre discipline e io imparavo, egli mi guidava e affinava le mie capacità.” Prese la spada e la espose alla luce. “Ho visto che l’avevi notata e ho immaginato che avessi riconosciuto l’impugnatura. Hai ragione: è stato lui ad aiutarmi a costruirla, è praticamente identica a un’arma Jedi, ma la sua luce... non è quella giusta.” Tacque e spense bruscamente il laser. ‘La luce giusta’, era forse quella la chiave di volta di tutta la faccenda? Il motivo per cui Ary vedeva e sapeva cose che gli altri non intuivano? La percezione di lei era nitida e limpida come su un pezzo di vetro ora e non era più possibile ingannarsi. Nel silenzio della grotta Obi-Wan scoprì una realtà che aveva solo immaginato, ma non pensava potesse esistere in maniera così definita e definitiva in un essere vivente: le vibrazioni di Ary non erano ‘giuste’ come aveva detto lei. Era come se vi fossero due lati perfettamente distinti e opposti, come facce speculari di uno specchio, la cui interezza costituiva la figura seduta davanti a lui. Un lato conduceva alla luminosità della conoscenza, della disciplina e della verità insegnatale da Qui-Gon, ma l’altro era ammantato di ombre oscure, fatto di rabbia e solitudine e conduceva inevitabilmente, irrevocabilmente al lato Oscuro. Qualcosa di totalmente estraneo alla famiglia Jinn. Il giovane Cavaliere riaprì gli occhi, per scoprire che lei lo stava guardando. “Già, è proprio così.” disse lei, con voce quasi troppo tranquilla. “Si presero cura di me con affetto e dedizione, con Tran e Liann ho scoperto cosa volesse dire fare parte di una famiglia vera, Obi-Wan. In effetti l’unica cosa che la mia ‘vera’ famiglia è stata capace di fare è stata quella di abbandonarmi a morire da sola - aggiunse con un antico rancore nella voce - Non gli piaceva quello che ero, i miei poteri.” “Credevo che gli ‘indigeni’ fossero tutti integrati.” disse Obi-Wan, con sorpresa. “Non tutti, ma quelli che non l’hanno fatto, non sono sopravvissuti a lungo.” Ary chiuse gli occhi mentre una smorfia di insofferenza le piegava le labbra. “Guerre fratricide, genocidio, solo nomi per nascondere quello che succedeva ai confini della piana di Kaidagan. Ormai sono morti tutti.” concluse, secca. “Così Qui-Gon ti ha trovato e ti ha addestrato. Per quanto tempo?” “Avevo dieci anni quando sono entrata in casa Jinn. Sono passati più di vent’anni da allora e tanto tempo mi è servito per imparare quello che tu hai appena percepito. Solo alla fine ho compreso che l’addestramento di Qui-Gon, tutti gli esercizi, la rigida disciplina di autocontrollo, le lunghe punizioni e le tecniche cui mi obbligava non erano volte a farmi diventare un Cavaliere Jedi, ma a difendermi... da me stessa.” Lui annuì. “Qui-Gon aveva capito che eri una persona speciale, Ary.” Lei fece un gesto vago con le spalle e piegò leggermente il capo. “Non ho mai voluto essere speciale. Avrei voluto solo...” Il sussurro della sua voce era appena udibile. “Sì, avrei voluto terminare il mio addestramento e diventare un Cavaliere Jedi. Ma Qui-Gon conosceva meglio di me la verità.” “Io farò ciò che devo, Obi Wan...” I lunghi capelli del Maestro erano agitati dal vento della sera, gli occhi azzurri lo fissavano indulgenti, ma seri. Sì, il Maestro Qui-Gon conosceva certamente la verità. Obi Wan sospirò leggermente. Venti anni di silenzio, non una parola. Fino alla fine. Ary guardò il giovane perduto nei propri pensieri e non seppe resistere, chiuse gli occhi per vedere quello che lui vedeva, per conoscere quello che la propria mente e il proprio cuore chiedevano da tempo. Baluginio di lampi, verde contro rosso. I due corpi che fendevano lo spazio ristretto intorno al pozzo senza sosta, senza tregua, senza possibilità di scampo. E lui era bloccato dietro quella barriera laser. Lasciato lì a guardare, la spada inutilmente accesa tra le mani. Non aveva corso abbastanza in fretta. Non abbastanza veloce. Non abbastanza... e ora il suo Maestro era solo contro un avversario che era più forte. Lo sapeva, lo sapevano entrambi. “Questo non ti appartiene, ti sbagli, non hai bisogno di saperlo, non ti sarebbe utile saperlo.” Gli occhi freddi, il tono distaccato spezzarono con un gesto brusco quel breve contatto mentale. Ary non disse nulla, non ce n’era bisogno: il dolore, la sofferenza e il senso di colpa erano una voce fin troppo forte. 4) I due Sith sedevano uno di fronte all’altro al centro del pozzo, gli occhi chiusi, i corpi rilassati, ma vigili. Le loro menti erano unite nella potente onda di energia oscura che andavano richiamando, più forte di minuto in minuto. Era pericoloso dividere con Shion quella segreta disciplina, ma Lord Nantris aveva deciso che non potevano permettersi il lusso di aspettare ancora. Presto sarebbe giunto il mattino e sarebbero dovuti irrevocabilmente partire, non potevano rischiare di essere scoperti lì, su Kanodian. I Sith non erano ancora pronti a rivelarsi apertamente ai Jedi; la morte di Darth Maul ne era stata una prova evidente. Quella donna, quella divisa a metà come il suo apprendista, sarebbe stata un’arma potente, se condotta al lato Oscuro, ma il tempo passava e il Maestro Sith non aveva ancora avvertito alcuna presenza in arrivo. Forse il Jedi che era con lei le impediva di usare le facoltà che l’avrebbero portata da lui. Ecco perché aveva iniziato la fusione con Shion: erano necessarie almeno due menti potenti del lato Oscuro per canalizzare un flusso di energia sufficientemente forte da attirare le creature sensibili a quel richiamo. Il suo apprendista non aveva ancora terminato il tirocinio e presentava ancora molte debolezze per diventare un Sith degno del nome, ma all’occorrenza poteva comunque fare la sua parte. Se non fosse stato convinto della sua utilità, Lord Nantris avrebbe lasciato che i coguari Trulis se lo divorassero, laggiù, alle pendici dell’immensa foresta di Kanodian. Intorno a loro le pareti del pozzo e l’aria immobile parvero ispessirsi mentre l’energia del lato Oscuro cresceva e iniziava a spandersi al di fuori del nascondiglio dei Sith, coinvolgendo ogni essere vivente che incontrava sul cammino e indirizzando per ogni dove la sua energia. Con gli occhi della sua mente il Signore Sith poteva vedere il flusso negativo che lentamente dominava il vento della piana di Kaidagan, scavando un vero e proprio cono di calma minacciosa e aprendosi il varco fino alla roccia dov’era convinto i due Jedi si nascondessero. La donna non avrebbe resistito al suo richiamo, sarebbe corsa a confrontarsi con lui o con Shion e qui avrebbe incontrato il suo destino. Si augurava solo che il Jedi la seguisse, avrebbe goduto parecchio di un duello con il giovane apprendista che era stato in grado di abbattere Darth Maul, uno dei guerrieri più forti che il suo Ordine avesse prodotto. Perso in queste piacevoli considerazioni, soddisfatto della riuscita della seduta, il Lord non si accorse che Shion aveva riaperto gli occhi e lo guardava, mentre una fugace ombra di dubbio e di confusione passava sul suo volto. ***** Sulla terrazza che dominava la sua casa, avvolta dal silenzio della notte, Liann Jinn contemplava i cieli fluorescenti di Kanodian. Si augurava che nessun altro oltre a lei avesse avvertito quello che l’aveva fatta balzare fuori dal letto e correre fin lassù. Come aveva immaginato, niente di minaccioso incombeva all’orizzonte, nessun attacco minacciava la casa e le sue immediate vicinanze, ma laggiù, molto lontano, dall’altra parte del pianeta, stava per accadere qualcosa di terribile, ne era certa. Purché non fosse successo qualcosa ad Ary o al giovane Jedi. Il cuore le si serrò in una morsa di ghiaccio... Qui-Gon non gliel’avrebbe mai perdonato. Se chiudeva i propri occhi e la propria mente al mondo esterno poteva sentire la propria coscienza vibrare dell’energia sprigionata dalla concentrazione di Tran, suo marito, e dei suoi fratelli, che celebravano i riti notturni per lo spirito di Qui-Gon. Ma non era quello il tempo giusto: suo figlio era ancora provato dal lungo viaggio nell’oscurità e non poteva raggiungerli, non per il momento. Liann sospirò di stanchezza, avvilita per la propria impotenza e per quella di Tran, che si ostinava, notte dopo notte, a toccare la Forza, sperando che prima o poi Qui-Gon li avrebbe raggiunti; a volte non era certa di dove finisse l’effettivo potere della Forza e di dove iniziasse la sua leggenda. Si sporse leggermente. In basso, la porta laterale si era aperta e una piccola figura era scivolata fuori, fermandosi a fissare il cielo. La donna corrugò la fronte, scorgendo il Padawan di Obi-Wan, Anakin, immobile davanti alla casa, come perduto in una personale trance. Scese rapidamente le scale e in pochi passi fu dietro di lui. Anakin non stava camminando nel sonno, come aveva supposto: i suoi occhi erano spalancati, fissi su qualche spettacolo noto a lui solo, era talmente assorto che non sentiva i brividi di freddo del suo corpo, avvolto in una semplice tunica da notte ed esposto al vento notturno. Con gentilezza, per non spaventarlo, Liann posò lievemente una mano sulla sua spalla. Il ragazzo trasalì bruscamente, ma non si voltò. “Che succede, piccolo Skywalker?” domandò lei. “Non riesci a dormire?” Allora Anakin si girò e Liann fu spaventata dall’espressione di terrore e di confusione dipinta sul suo viso. “Io... io lo sento dentro di me, non riesco a fermarlo. Mi dice di andare... là.” E indicò le lontane valli che segnavano la fine dell’immensa foresta del pianeta. “Cosa senti, Anakin?” “E’ come un richiamo, fortissimo... la testa mi fa male e non riesco a pensare ad altro...” Improvvisamente gli occhi del bambino si riempirono di lacrime. Liann chiuse gli occhi, ricorrendo a un’antica tecnica di rilassamento Jedi, lasciando che la coscienza della propria calma interiore si comunicasse a quella incerta e piena di dolore del ragazzo ora accasciato contro di lei. Un istinto ancora più urgente però la spinse a toccare ella stessa la Forza. Doveva sapere cosa stava accadendo. Ed eccolo là, un mare oscuro di passione e di ira, nero come il più profondo degli abissi, freddo e spietato come la lama di un Sith... Riaprì gli occhi, sgomenta, e incontrò quelli chiari e lucenti di paura del bambino. “Signora, cosa sta accadendo... cosa mi sta succedendo?” chiese terrorizzato Anakin. “Shh” lo confortò Liann, accarezzandolo febbrilmente, mentre la sua razionalità cercava di far fronte a quello che aveva appena percepito. Cercò di non cedere al panico, di non farsi dominare dalla paura del bambino e dalla consapevolezza di quanto stava avvenendo laggiù, nella piana di Kaidagan, dove si trovavano Obi-Wan e Ary. “Dobbiamo andare da Tran, Anakin. Dobbiamo contattare la Forza. In fretta.” Lo prese per mano e corsero in casa. ‘Qui-Gon, figlio, lo so che non sei ancora pronto, ma non possiamo più aspettare. Ci serve il tuo aiuto, subito.’ 5) Obi-Wan si svegliò di soprassalto. Non ricordava neppure di essersi addormentato, ma il fuoco doveva essersi spento e lui aveva ceduto alla stanchezza. Il suo corpo vibrava profondamente della strana sensazione che l’aveva destato. C’era qualcosa che vibrava intorno alla grotta, un’emanazione del Lato Oscuro di una potenza che non aveva mai sperimentato prima. Il giovane Jedi non riusciva a stabilire quanto accurata potesse essere la sua percezione, confuso dai campi di energia del Kaidagan. Poi realizzò di essere solo. Il giaciglio improvvisato con un mantello e una coperta all’altra estremità della grotta era vuoto. Freneticamente Obi-Wan sondò la Forza per trovare quello che cercava. Corrugò la fronte: Ary era subito fuori dalla grotta, in mezzo alla piana e la sua mente... poteva percepire una grande lotta interiore e un irresistibile richiamo verso il lato Oscuro. Il giovane balzò in piedi e fuori dalla grotta in un secondo. Ed eccola là, immobile nella piana. Intorno a lei il vento era cessato, ma lontano Obi-Wan vedeva ancora le dune di sabbia alzarsi e abbassarsi sotto il potente soffio. Perché intorno a loro due invece c’era quell’inquietante isola di calma? La sua mente fu investita di nuovo da quelle vibrazioni: rabbia, sete di vendetta, desiderio di lotta e di morte. Tutto questo stava gridando il lontano richiamo... o forse era Ary? Spaventato da quel pensiero si avvicinò con cautela alle spalle della donna fino a quando non poté udire le sue parole. Non parlava con lui. “Lasciami in pace. Lo so che sei tu, ora lo so. Fino a stamattina speravo di no. Speravo fosse quell’altro, il tuo ...Maestro, colui che ti manipola così bene. Siete in due, vi sento. C’è lui a guidarti; da solo non ce la faresti mai. Da solo non avresti mai potuto farcela. Sei vivo grazie a lui, vero? E’ questo che ti ha chiesto in cambio? Un’anima in cambio di un’anima... la mia anima. Non credevo saresti arrivato a questo, Shion.” (Obi-Wan può avvertire un mutamento nell’aria intorno a lui; ora non è più così calma. Qualcosa nelle parole della ragazza ha spezzato l’equilibrio oscuro di quella cappa. Correnti burrascose di collera, di rabbia impotente, di antichi rimpianti prendono il sopravvento sul controllo ferreo finora mantenuto. E ora sente distintamente anche l’altra voce.) “No! Tu non puoi capire. Cosa ne sai di quello che ho passato? È vero, sarei morto e questo nessuno lo sa meglio di te. Il giorno che fummo prima separati e poi abbandonati, io non potevo che crederti morta e pensavo di morire anch’io. È una colpa essere ancora vivi, su questo maledetto pianeta? Soli, liberi, fuori dal Gruppo che ha firmato la nostra condanna perché eravamo un pericolo per l’unità. Non senti mai odio, Ary? Non provi mai desiderio di vendetta, di rivincita? Ci hanno temuti per i nostri poteri, allora che sperimentino tutto quello di cui siamo capaci! Siamo forti, Ary e possiamo esserlo ancora di più. Tu non sai che possibilità può regalarti il Lato Oscuro, è così facile, naturale, la sua via. Non sarai mai più sola qui con me, con noi.’ Lei fremette per l’improvviso intensificarsi del richiamo, e così Obi-Wan, che percepì la mente della sua compagna perdersi, suo malgrado attirata irresistibilmente da quelle parole di promessa, da quel seducente inganno che riempiva il vuoto durato tutta una vita con un vuoto più abissale. Non poteva permetterlo. Si rese conto con amara ironia del fatto che ancora una volta Yoda, il più anziano e saggio Jedi del Consiglio, aveva avuto ragione. Era arrivato il momento di affrontare il suo dolore, e quello di Ary. Le si mise davanti, frapponendosi tra lei e la voce impaziente che ancora risuonava nella sua mente. Ary non diede segno di riconoscerlo, i suoi occhi scuri erano spalancati e fissi su un punto lontano. Parlarle in quel momento non sarebbe servito, realizzò Obi-Wan, c’era una sola cosa che egli poteva fare per lei: la sua mano si posò saldamente sulla spalla della donna, mentre la sua parola e i suoi pensieri scivolarono quietamente nella mente di lei. ‘Prima, nella grotta, non ho voluto rispondere alla tua domanda, ma hai sofferto già abbastanza senza sapere...’ Obi-Wan chiuse gli occhi, addentrandosi dentro se stesso, dentro i propri ricordi. Erano ancora lì, brucianti, dove li aveva lasciati; lasciò che si unissero ai pensieri di Ary, lasciò che anche lei ricordasse attraverso i suoi occhi. Lei sentì la propria mente perdere consistenza, scivolare a ritroso nel tempo. Era sola quella notte, in ginocchio nel bosco, schiantata da una sensazione, da una sofferenza così soffocante da credere che non sarebbe più sopravvissuta. E poi c’era Obi-Wan, ma il posto era cambiato. Intorno a lui non c’erano più gli alti alberi di Kanodian, ma altrettanto alte barriere elettriche, dalla lucentezza mortale. Al di là delle barriere... Ary aveva paura di guardare. Nonostante questo però sentì i propri occhi muoversi all’unisono con quelli di Obi-Wan. C’era malvagità, odio e frenesia di morte nello sguardo dilatato di quegli occhi rossi. La calma, la sicurezza di Qui-Gon, la lunga esperienza e disciplina che avevano animato tutta la sua vita furono violentemente investite da quella carica primordiale, ma potente. Ary sentì chiaramente la lotta interiore, più forte e più spietata dei colpi di spada laser che vibravano senza posa. La barriera di raggi laser si frapponeva inaccessibile fra loro, le stesse figure dei due duellanti risultavano distorte, ma a lei ormai non servivano più gli occhi per vedere, per sentire il suo Maestro, la sua stanchezza e una nuova, lacerante consapevolezza che lentamente lo stava sopraffacendo. Avrebbe perso. Ciò nonostante non si fermò e continuò a combattere con la stessa serenità che aveva caratterizzato tutti i suoi duelli. E poi la lama rossa partì, con diabolica velocità e precisione, accompagnata dal grido disperato di Obi-Wan (o forse era stata lei stessa a gridare, chi poteva dirlo). Ary si accasciò lentamente sulla sabbia rossa. Sentiva presso di sé il respiro breve e ansante di Obi-Wan, scivolato in ginocchio insieme a lei, i suoi occhi ora aperti la guardavano con un’immobilità tanto più terribile perché ora lei finalmente sapeva cosa c’era dietro quello sguardo, cos’è che Obi-Wan non smetteva di fissare da sei mesi da quella parte. Aveva distolto lo sguardo incredulo, sconvolto, dalla visione di Qui-Gon che giaceva a terra, con le braccia aperte, per riportarlo sulla maschera infernale che si era fermata davanti a lui, subito al di là della barriera. E aveva assistito con rabbia impotente al suo sogghigno trionfante, alla gioia con cui aveva prontamente recuperato la guardia con la sua doppia spada. Il Sith stava godendo immensamente della costernazione del giovane Padawan, della facilità con cui aveva abbattuto il Maestro Jedi, ed era pronto a rifarlo. Il suo corpo quasi danzava dall’impazienza, non vedeva l’ora di rifarlo. Darth Maul... il Sith, quello che ogni seguace del Lato Oscuro sogna di diventare, quello che Shion sognava di diventare. Quello che sarebbe potuta diventare anche lei. L’assassino di Qui-Gon. Ary guardò Obi-Wan e i suoi occhi diventarono limpidi e freddi come il ghiaccio. Si rialzò e lo aiutò ad alzarsi insieme a lei, dicendogli semplicemente: “Ho capito. Non devi più ricordare per me.” “NON CREDO SIA COSI’ FACILE, SCIOCCA.” gridò qualcuno dietro di loro. 7) La voce si era improvvisamente intromessa tra di loro e non era quella di Shion. Ary vide Obi-Wan, che era rimasto scoperto dopo la dura prova appena sostenuta, crollare a terra, abbattuto da una scarica elettrica. Smarrita, alzò lo sguardo e solo allora si rese conto che il vento era ripreso intorno a loro, tornando a disegnare arabeschi di sabbia e detriti nella luce scarsa dell’alba. Ma la cosa più grave era che questo aveva consentito a Lord Nantris e al suo discepolo un’avanzata silenziosa, di cui né lei né il cavaliere Jedi si erano accorti, se non quando ormai era troppo tardi. Il Sith avvolto nel suo cappuccio nero aveva ancora le mani protese nell’atto di colpire Obi-Wan che, steso a terra, tentava di riprendere fiato. Lord Nantris contemplò dall’alto della duna su cui si trovava le sue prede, soddisfatto. Poi fece un semplice cenno e Shion si levò dal suo nascondiglio attaccando all’improvviso Ary con ferocia inaudita. La donna ebbe appena il tempo di sfoderare la sua spada laser e parare a stento il primo colpo di quella di Shion, che vibrava di una bizzarra luce purpurea. 6) Obi-Wan faticava a riprendersi, il colpo era stato molto forte, come doveva esserlo il suo avversario, era stato un grosso errore la loro distrazione. I colpi delle spade di Ary e di Shion si confondevano con quelli del ruggito costante del vento. Erano senza riparo in una terra che invece i loro nemici conoscevano alla perfezione; erano stati loro a forgiare la piana di Kaidagan, a mascherarla con vibrazioni così potenti da sconvolgere quasi l’assetto naturale del luogo. Il giovane Jedi si domandò come dovesse essere una volta quel luogo, se assomigliasse al resto del pianeta, se era lì che Ary e l’amico di un tempo avevano vissuto la loro infanzia. Difficile credere ora che un posto del genere fosse stato abitato da bambini e famiglie. Non poté riflettere oltre, Ary lo stava chiamando, lo avvertiva distintamente nella sua mente, era in difficoltà: chiunque fosse la persona che aveva lasciato indietro tanto tempo prima, l’uomo vestito di nero che l’aggrediva senza posa con colpi precisi e sferzanti, aveva fatto molta strada sulla via del Lato Oscuro, diventando forte e pericoloso. Prima tuttavia che Obi-Wan potesse correre in suo aiuto, l’Altro, il maestro di Shion gli si parò davanti, senza fretta, quasi con noncuranza, ma il suo primo colpo fece quasi saltare la spada dalle mani ancora incerte del cavaliere Jedi. ‘Sempre due ce ne sono’ la frase del maestro Yoda risuonava assurdamente nella testa di Obi-Wan mentre si sforzava di tenere a debita distanza la figura incappucciata. Doveva continuare a tenere duro e sperare che Ary facesse altrettanto, ma i colpi che vibravano incalzanti alla sua sinistra non facevano presagire nulla di buono. Ritrovando la propria concentrazione Obi-Wan tentò di comunicare ad Ary la propria calma, il profondo equilibrio interiore che ogni Jedi acquista nel momento supremo del pericolo. Era come se una corrente di energia e concentrazione si facesse strada pian piano nel vorticoso groviglio dei pensieri della donna, probabilmente al suo primo scontro diretto: il respiro di Ary divenne più regolare, i suoi colpi meno caotici e più efficaci. Qualcosa stava cambiando, realizzò Shion con disagio. “Chi ti ha addestrata così?” domandò, incerto, tra un colpo e un altro. “Ho avuto anch’io il mio maestro, che a differenza del tuo si è sempre preoccupato che non mi potesse capitare nulla e mi aveva preparata a questo giorno.” replicò tranquilla lei, senza perdere di vista il malefico laser color porpora. “Davvero? Allora spero che ti abbia preparato anche a morire.” Una selva di colpi più potenti di prima avvolse la donna in un crepitio elettrico, ma per quanto si sforzasse, Shion di Kaidagan non riusciva a venire a capo della sua compagna di un tempo. “Credo che dovresti essere tu quello a preoccuparti.” sorrise senza gioia Ary, che cominciava a vedere l’inesorabile fine di quel duello. Pur ritrovandosi impegnato con tutte le sue forze, Shion fu comunque in grado di dare un’occhiata alla sua destra e sogghignò con espressione trionfante. “E tu? Che razza di Jedi saresti se non sei nemmeno in grado di aiutare un amico?” disse sarcastico, sottolineando con soddisfazione ogni parola. In quel momento Ary lo sentì chiaramente: l’unione che Obi-Wan aveva stabilito con lei stava svanendo, lo sforzo che aveva aver fatto per comunicarle la propria calma ed energia doveva averlo indebolito e distratto dal suo contendente. La donna non poteva voltarsi a guardare, ma avvertì distintamente le ondate di odio e soddisfazione emanate dal Sith incappucciato che incalzava senza tregua il giovane Jedi. Con uno sforzo supremo tentò di voltarsi per aiutarlo, ma Shion non aspettò altro e la sua spada laser risuonò con un crepitio secco mentre tornava alla carica. ‘Distogli la loro attenzione e separali’ questo gli aveva comunicato silenziosamente il suo maestro fin dall’inizio, ‘L’uomo che resta da solo è un facile bersaglio e nessuno lo sa meglio di te, Shion’. Bene, vuol dire che se non voleva morire, Ary avrebbe assistito alla fine del suo maestro; dopo, Shion non ne dubitava, non sarebbe stato difficile avere ragione di lei. Per un attimo, solo per un attimo, un antico sentimento di rimorso e di rimpianto si affacciò nella mente ormai offuscata dall’oscurità dell’uomo, un curioso sguardo smarrito balenò come un lampo sul suo viso contratto dalla lotta, come se un vecchio amico vissuto tanto tempo prima lo stesse guardando da fuori, con sgomento e incredulità per quello che vedeva. Ary se ne accorse, ma il pensiero di Obi-Wan occupava interamente la sua mente e la sua spada non si fermò, ansiosa di concludere. ***** Attacco, difesa, contrattacco, nuova difesa, ogni volta con più difficoltà, ogni volta con un nuovo sussulto nelle braccia ormai stanche, nella mente aggredita come il corpo da quella rabbia cieca, che non lascia via di scampo. Obi-Wan aveva già sperimentato tutto questo in passato, l’ultima volta sei mesi prima, attraverso la lotta di qualcun altro. Incredibile come la sensazione di sconfitta, la stanchezza bruciante, in definitiva fossero uguali: il pensiero della propria fine lo colse all’improvviso, ma senza eccessiva preoccupazione, tra un colpo e l’altro della lama dell’avversario. Non sapeva se era a causa della sabbia, o dei raggi del primo sole che stentavano a trovare una via in mezzo ai mortali giochi di luce di Kaidagan, ma la luce di quel laser diabolico sembrava cambiare costantemente colore, confondendo ulteriormente i suoi sensi sempre più intorbiditi. Aveva lottato per se stesso e per quella strana donna che Qui-Gon aveva salvato dalle tenebre di Kanodian, e mai per un solo istante aveva pensato di ingannare entrambi. Gettò un’occhiata a sinistra, Ary stava poco a poco prendendo il sopravvento sull’avversario, la cui mente si era dimostrata così poco sicura del proprio destino: lo avrebbe sconfitto, ne era certo, ma non sapeva a quale prezzo e soprattutto non era sicuro che sarebbe vissuto abbastanza per vederla. Un colpo più infido degli altri gli fece perdere contatto con la propria arma, riuscì a recuperarla solo all’ultimo minuto, trasformando l’errore in un fendente menato alla cieca, che gli ottenne solo qualche secondo in più di vantaggio. La sua mente, ormai stanca, cominciò ad andare alla deriva, i colpi vibrati in risposta a quelli di Lord Nantris persero suono e significato, mentre un angolo distaccato della sua percezione sentiva distintamente l’ondata di trionfo del suo avversario, che poco a poco lo stringeva in una morsa sempre più serrata. Perfino i pensieri di Ary, sempre più allarmati per la sua sorte, gli giungevano sempre più distanti: ormai Obi-Wan aveva a malapena la forza di continuare a muoversi, con sempre più impaccio, la luce verde della sua spada balenava erratica e incerta in mezzo ai fasci potenti di quella del Sith. Aveva combattuto abbastanza, aveva perduto amici e maestri, era stanco e tutto quello che voleva era solo lasciarsi andare; era giusto, era possibile... ‘Ne sei davvero convinto, mio Padawan? Sei così poco sicuro di te stesso da preferire un facile oblio alla sfida costante della vita?’ Quella voce... quel timbro profondo e rassicurante, l’aura inconfondibile di calma e di serenità: la mente di Obi-Wan vacillò in quella che non osava neanche chiamare speranza. ‘Maestro?’ sussurrò, supplicò con tutta l’energia che ancora gli rimaneva. ‘Sono qui, Obi-Wan, sono sempre stato qui, ma tu non eri ancora pronto per sentirmi e la mia voce non era ancora abbastanza forte per giungere fino a te. Qualcuno mi ha indicato la via’ Nella mente di Obi-Wan balenarono improvvise le visioni di Liann e Tran Jinn, dei tre anziani Jedi incontrati quella sera e quella del visetto fiducioso di Anakin, tutti raccolti in una stanza senza finestre, ma piena di luce. ‘Ti prego, lascia che ti veda anch’io... lascia che venga da te!’ gridò nella sua mente il giovane, combattendo non più contro la figura minacciosa e senza contorni di Lord Nantris, ma contro il vento di Kaidagan che sembrava voler soffocare la sua voce. La percezione, la sensazione che aveva del suo maestro parve indebolirsi e offuscarsi leggermente. ‘Non è ancora tempo, Obi-Wan. Non lasciarti ingannare dalla tua confusione, non dimenticare che sei un cavaliere Jedi ora - la voce che era appartenuta a Qui-Gon Jinn si fece più seria, quasi severa - e non è una vita facile, non c’è ricompensa per i nostri sacrifici e la nostra solitudine. È la Forza a guidarci e grazie ad essa noi guidiamo chi ha bisogno di noi: guardati intorno, non sei solo come credi, Obi-Wan. Loro combattono e soffrono per te, sei sicuro di volerli abbandonare, ti ho mai abbandonato, mio Padawan?’ Fu la dolcezza e un antico rimpianto in quella voce a far voltare Obi-Wan in direzione di Ary, che non riusciva a correre in suo aiuto come avrebbe voluto, come un tempo lui non aveva potuto, mentre nella sua mente ancora una volta si stagliava vivido il ricordo dello sguardo smarrito di Anakin il giorno della partenza per Kaidagan. Obi-Wan piegò la testa e le spalle in un impercettibile inchino, mentre alcune lacrime inconsapevoli gli scendevano lungo il volto. ‘Sì maestro. Farò ciò che devo.’ 8) Per la prima volta nella sua vita Lord Nantris era indeciso. Non riusciva sinceramente a capacitarsi di cosa potesse essere successo: un minuto prima li aveva avuti in pugno entrambi, Shion svolgeva egregiamente la sua parte e la ragazza sarebbe caduta rapidamente nelle loro mani. E poi, quelle strane parole, la rabbia imprevista del suo apprendista, il suo tentennamento nel concludere uno scontro che avrebbe dovuto vincere già da un pezzo. Aveva pensato di annientare facilmente un Jedi meno forte ed esperto di lui, ma ora, guardando l’improvvisa calma e sicurezza che aveva invaso la mente e il corpo del giovane davanti a lui, non ne fu più tanto sicuro. C’era una nuova forza spropositata che muoveva la spada laser del suo avversario, realizzò incredulo il Sith, che all’improvviso vedeva molto ridimensionate le sue previsioni di vittoria. Non sembrava che Shion fosse ormai in grado di vincere e d’altro canto lui non aveva il tempo di sperare che il Jedi davanti a lui si stancasse di nuovo per poterlo sconfiggere; il tempo giocava a loro sfavore. Gli ordini erano stati chiari e i Sith erano ferrei nei loro principi: i singoli sono sacrificabili, ma l’Ordine non morirà mai. Non c’era più tempo per le soddisfazioni personali. E tanto peggio per chi rimaneva indietro: solo i più forti sopravvivono. Con un ringhio di frustrazione Nantris si sottrasse con un rapido balzo all’ultimo e più violento attacco di Obi-Wan, letteralmente svanendo alla sua vista, proprio mentre Shion scopriva una volta di troppo la sua guardia: fu questione di un attimo e la spada purpurea dell’apprendista Sith volò lontano, irraggiungibile. Obi-Wan e Ary si guardarono stupiti quando, nella luce che il sole del mattino era riuscito finalmente ad insinuare nella piana, realizzarono che i loro avversari si erano improvvisamente ridotti ad uno, il cui sguardo ferito e tradito fu inequivocabile. Ary lo guardò e a un tratto sentì tutto il suo odio e livore trasformarsi in profonda pietà. “Ecco la ricompensa per la tua lealtà, Shion. Ti ha abbandonato, non gli servi più.” Con un gesto stanco spense la propria spada, lasciandola cadere a terra. “Era questo che stavo tentando di dirti prima.” Shion la guardò mentre una luce selvaggia gli illuminava gli occhi di uno sguardo indecifrabile. “No...” esclamò con una strana voce quieta, “Sei tu che non hai capito nulla, come potresti? Un Sith non conosce sconfitta, conosce solo odio, l’odio che conduce al potere. Lord Nantris non mi ha abbandonato, non esiste abbandono, solo disprezzo per i deboli. Non c’è posto per loro, da nessuna parte... non c’è posto per me.” E smentendo la tranquillità con cui aveva pronunciato quelle parole, si impadronì di scatto della spada di Ary, troppo rapidamente perché lei o Obi-Wan potessero reagire in tempo. Il grido di angoscia di Ary suonò alle sue orecchie come l’ultima ricompensa mentre rivolgeva il laser verde contro di sé. “Non esiste... la morte, esiste solo... l’immortalità” lo udirono ancora mormorare prima che il suo corpo si abbattesse a terra, senza vita. Il credo dei Sith, la sua unica fede. Fu Obi-Wan ad estrarre con delicatezza la spada dal corpo esanime del Sith, quando si voltò verso Ary scoprì che si era allontanata, i suoi passi risuonavano stranamente nella piana di Kaidagan, dove anche il vento si era improvvisamente zittito. Il cavaliere Jedi non tentò di seguirla, mentre guardava la sua figura solitaria allontanarsi. Dentro di sé, sì lo sentiva chiaramente, c’era chi poteva consolarla meglio di lui. ***** Si inginocchiò lentamente nella sabbia rossa e chiuse gli occhi, recuperando le forze e ristabilendo il contatto con la Forza vivente, che aveva escluso da mesi. Ci sarebbe stato tempo più tardi per le parole, il cordoglio e la quieta esperienza di una nuova vittoria, di un ostacolo in più superato. In lui finalmente tutto era in pace, il dolore come la gioia trovavano un nome e un posto nuovo nel suo cuore e nella sua anima. Non meditava più per sé, meditava per Ary, per l’infelice kanodiano che aveva preferito un’illusione di vita alla vita stessa, un errore che si poteva commettere con così terribile facilità. Per un momento Obi-Wan ebbe paura, temette che Ary potesse prendere la stessa via, ma quando finalmente riaprì gli occhi, sondando con attenzione la Forza, la voce, le voci che udì lo rassicurarono. ‘Non temere, Ary, non tutto è perduto per Shion. Nessuno può sapere a cosa abbia veramente creduto in quegli ultimi istanti della sua vita.’ ‘Vorrei che fosse così, Qui-Gon.’ Un mezzo sorriso, una tonalità quasi divertita nella sua voce. ‘Se non credi a me, credi almeno nella Forza, mia Padawan.’ Impossibile resistere, Ary si ritrovò a sorridere, prima piano, poi con maggiore convinzione. ‘È una strada lunga, vero Qui-Gon?’ ‘Senza rimpianti, senza rimorsi. Ma ci sarò io a percorrerla con te, Ary. Per sempre.’ FINE |